Ho svolto un tirocinio all’interno del dipartimento di Social Housing dell’associazione La Rotonda nell’ambito del master di II livello U-RISE in Rigenerazione Urbana e Innovazione Sociale promosso dall’Università IUAV di Venezia. Il mio periodo di stage è durato circa cinque mesi, ma definirlo stage o tirocinio, risulta alquanto riduttivo e poco esplicativo per quello che ha significato per me. Mi chiamo Alice, sono un’architetta di 28 anni e questa esperienza non mi serviva – come spesso accade in caso di tirocinio – per entrare nel mondo del lavoro, del quale faccio parte ormai da tempo, ma mi è servita, invece, per rendermi conto che un altro mondo di lavorare è possibile, quello piacevole, in cui instauri legami e relazioni vere con le persone che condividono con te non solo spazi, ma principi di vita.
La Rotonda in questo breve periodo trascorso insieme mi ha insegnato che bisogna puntare tutto sulle persone, sulla loro voglia di fare e di fare bene. Ed è proprio questa voglia l’elemento che contraddistingue ogni singolo dipendente/volontario che entra nella rete dell’associazione.
Da architetta ero già consapevole dell’importanza della distinzione tra il concetto di spazio, inteso come entità geografica, e quello di luogo, inteso come entità culturale, e, di conseguenza, del fatto che è solo grazie alla presenza di persone che avviene la trasformazione degli spazi in luoghi, da vivere e da abitare, ma mai come durante l’esperienza all’interno della Rotonda me ne sono resa conto.
All’inizio di questa avventura ero un po’ spaesata, venivo da esperienze all’interno di studi professionali ed ero poco abituata al contatto umano diretto con chi poi, quegli spazi che stavo progettando, li sarebbe andati a riempire, vivere e rendere vivi. Mi sentivo spaesata anche a causa del contesto urbano particolare in cui l’associazione trova la sua casa: Baranzate, piccolo comune dell’hinterland milanese in cui si assiste a problematiche spaziali e sociali, correlate ovviamente tra loro, perché, appunto, è lo spazio a definire l’inclusione urbana. Questo senso di spaesamento è stato però subito spazzato via da un senso di pienezza e fiducia nel prossimo. Ho imparato a conoscere non solo le vie e le piazze di questo piccolo angolo di mondo, ma soprattutto la comunità che lo rende così speciale.
L’attività in Rotonda è caratterizzata da una disarmante semplicità. Qui, si pensano progetti transculturali e di rinascita territoriale. Eppure, il clima di “laboratorio sociale” non sembra basarsi esclusivamente sulla progettazione partecipata, come avviene quasi sempre in altre realtà, con modelli consolidati. Tutto sembra scaturire, invece, dalla cura delle relazioni nella quotidianità, dai rapporti che si instaurano lentamente, ma in maniera convinta e sincera. Il riannodare le relazioni, l’essere avvolti nei problemi vissuti giorno per giorno dalla gente che abita questo luogo è la base per la rinascita, anche nelle situazioni che appaiono fragili e irrecuperabili.
Durante il mio periodo di tirocinio come facility manager posso dire di aver fatto di tutto: ho montato mobili, mi sono improvvisata elettricista, idraulico, tuttofare, ma quello che ho fatto di più è stato divertirmi, veramente, nel fare tutte le mansioni che mi venivano richieste, anche le più bizzarre. E se non è un insegnamento lavorare divertendosi, non so davvero cosa lo sia. Per cui, dico grazie a Rotonda e a tutte le meravigliose persone che la vivono ogni giorno, da dipendenti, volontari o utenti, grazie soprattutto per credere che un altro mondo sia possibile e per aver fatto tornare a crederci anche me.